Il principe di Sansevero

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Raimondo di Sangro famoso come il principe di Sansevero, fu un’alchimista, massone, militare, esoterista e inventore, nato da Antonio, duca di Torremaggiore e da Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona, la madre morì subito dopo il parto, e il padre, spirito libertino, lo abbandonò a solo un anno di vita, rimasto orfano crebbe con i nonni paterni. All’età di 10 anni i nonni lo mandarono a studiare a Roma presso la scuola dei Gesuiti dove restò fino a 20 anni, acquisendo una cultura di molto superiore alla media, ed unita alla sua naturale propensione allo studio diventò una dei “geni” del Settecento napoletano ed europeo. Finito gli studi nella scuola gesuita si recò a Napoli, città natale, dove, in seguito alla morte del nonno, divenne principe di Sansevero.

Rimasto nella storia non solo per le sue spiccate doti di militare, ma sopratutto per i suoi studi alchemici e chimici, per le sue invenzioni, per i suoi libri massonici, i quali la maggior parte vennero censurati dalle autorità ecclesiastiche, perché i contenuti erano sospetti di stregoneria, il che gli portò molti problemi. Intorno a lui quindi aleggia sempre un alone di mistero e paura e il popolino racconta storie “fantastiche” e magiche su di lui e sulla sua famiglia, creando cosi una serie di leggende.

Raimondo era solito chiudersi per giorni nel suo palazzo, per i suoi vari esperimenti e invenzioni, nei sotterranei fece istallare una tipografia, che con i suoi rumori strani all’epoca, alimentarono le dicerie tra il popolo. Si diceva infatti di strane invenzioni come il “lume eterno” una fiamma che ardeva senza fine, consumando minime quantità di un combustibile di sua invenzione, ottenuto, si diceva, anche tritando le ossa di un teschio umano, oppure una macchina idraulica capace di far salire l’acqua a qualunque altezza, ed una carrozza “anfibia” in grado di andare per terra e mare, con la quale attraversa il golfo di Napoli. Inoltre il principe amava molto gli esperimenti con i colori, e creava intrugli e miscugli per colori resistenti e vivaci, i quali crearono altre dicerie facendo credere che i colori erano dovuti a una strana tecnica misteriosa.

Nel sotterraneo annesso alla Cappella, scendendo per la piccola scala di ferro, si accede ad una stanza nella quale sono conservate le cosiddette “macchine anatomiche”, due scheletri rivestiti con una intera rete di vene e arterie, solidificate, pare, con un processo di metallizzazione inventato dal Principe e di cui si è perso il segreto. Avrebbe, si dice, iniettato una sostanza alchemica nei corpi ancora in vita di due servitori, distruggendo l’involucro corporeo e disegnando le vene, le arterie e perfino i capillari. Ma c’è chi sostiene siano solo due scheletri, di un uomo e di una donna incinta, rivestiti da fili e cera di diversi colori. Quello che è certo è che il Principe privilegiava lo studio dell’alchimia e dell’anatomia umana, c’è chi dice per raggiungere l’immortalità. Una ricerca che potrebbe averlo portato alla morte. Secondo il racconto di Benedetto Croce, pare che egli avesse scoperto un elisir prodigioso, capace di dar vita ai cadaveri, e che lo volesse sperimentare su di sé. Così diede ordine ad un servitore di tagliare il suo corpo a pezzi e di chiuderlo in un baule, in attesa della sua rinascita. Qualcuno, però, aprì prima del tempo il baule: il corpo del Principe si sollevò semivivo, urlò e ricadde subito dopo, definitivamente morto.

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