Leggenda tibetana: avidità

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Le leggende sono storie che spiegano la coesistenza dell’uomo con la natura, esse spiegano come l’uomo deve comportasi con essa, e come la natura risponde al trattamento dell’uomo. Le leggende ci fanno capire cosa è giusto o sbagliato, qual’è il bene e il male. Oggi vi racconterò una leggenda tibetana, che spiega quale conseguenze, l’avidità dell’uomo, può provocare.

Molto tempo fa, un cacciatore vagava per la foresta a caccia di un qualche animale da uccidere, scorse un elefante e subito scoccò la sua freccia avvelenata, l’elefante si abbatte a terra tramortito, il cacciatore gli si avvicinò e lo finì, poi se ne andò.

Poco tempo dopo, da quella contrada, passarono cinquecento ladroni, che avevano dapprima saccheggiato un villaggio di montagna, e avvistarono l’elefante ormai morto, si avvicinarono subito, dato che era anche periodo di carestia, dissero “Abbiamo trovato una gran quantità di carne. Duecentocinquanta di noi, faranno a pezzi l’elefante e lo arrostiranno, gli altri duecentocinquanta, invece, procureranno l’acqua”.

Quelli che tagliavano e cuocevano l’elefante pensarono, però: “Visto che ci siamo sobbarcati questo lavoro e abbiamo messo insieme tanto bottino, perché dovremmo cederne parte agli altri? Mangiamo carne a volontà e avveleniamone gli avanzi; quelli la mangeranno e ne moriranno, così il bottino sarà tutto nostro”.

Così fecero, ne mangiarono fino a sentirsi sazi e poi avvelenarono i resti. Dall’altra parte, i duecentocinquanta ladroni che erano andati a prendere l’acqua ebbero la stessa idea. Così quando furono di nuovo tutti insieme, quelli che avevano mangiato la carne bevvero l’acqua e quelli che avevano bevuto l’acqua mangiarono la carne, e morirono tutti.

Giunse allora in quel luogo uno sciacallo, che scorse tutti quei cadaveri e con una gioia pensò:“Mi trovo davanti a un bottino enorme; procederò per gradi”. Afferrò l’arco con le fauci e si mise a rosicchiare i nodi della corda. La corda però si spezzò e un’estremità dell’arco lo colpì sul palato, uccidendolo.
Mukhara il saggio, pronunziò questa sentenza: “Si debbono raccogliere provviste, ma non superiori ai propri bisogni, guardate come lo sciacallo, accecato dall’avidità per il suo bottino, è stato ucciso dall’arco”.

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