La suora di Mercede e la Vecchia dell’aceto di Palermo

di Valentina Cervelli Commenta

Ogni città ha i suoi fantasmi e le sue leggende e difficilmente vi è qualcosa di più emozionante della vita ultraterrena di luoghi antichi: prendendo ad esempio la siciliana Palermo non si può non parlare della suora di Mercede e della Vecchia dell’aceto.

La storia della suora del campanile

Il capoluogo siciliano è di una bellezza disarmante per scorci e storia, ma ancora più interessante è concentrarsi sulle leggende e i miti che la accompagnano. Essi sono moltissimi e tutti dotati di una storia intrigante e appassionante: per chi ama l’esoterismo e tutto ciò che non è spiegabile, le storie palermitane di fantasmi e presenze sono un piccolo gioiello da conservare nella propria mente.

Partiamo in questo caso con la storia della suora di Mercede: secondo la leggenda questa suora apparirebbe con il calare nella notte a Piazza del Mercato del Capo e più precisamente dal campanile della Chiesa della Mercede. La donna avrebbe lo sguardo sempre fisso verso Palazzo Serenario e la ragione, in base a quel che si racconta da generazioni, è che dopo aver subito violenza, la stessa avrebbe dato alla luce una bambina che le sarebbe stata portata via prima di obbligarla a chiudersi in convento. La suora sarebbe quindi rimasta intrappolata in questa dimensione, alla ricerca vana ed eterna della sua bambina.

La Vecchia dell’aceto e il suo macabro mercato

Sulla vecchia dell’aceto, altra nota leggenda della città di Palermo, lo scrittore Luigi Natoli scrisse addirittura un libro.  Si tratta di una storia tra le più note riguardanti la cittadina siciliana e riguarda Anna Pantò, persona vissuta realmente alla fine del 1700 nel quartiere di Zisa e conosciuta anche con il nome di Giovanna Bonanno per via del matrimonio che contrasse. La sua descrizione è sempre quella di un donna anziana, mendicante e dall’aspetto che incuteva timore, avida di denaro che trovò il modo di arricchirsi vendendo del veleno formato da aceto e arsenico, di solito utilizzato per uccidere i pidocchi.

La maggior parte dei suoi clienti erano donne che volevano liberarsi di mariti non amati. Al momento del pagamento, ricevendo i soldi, la vecchia usava ripetere la frase: “U Signuri ci pozza arrifriscari l’armicedda“, ovvero il Signore possa rinfrescargli l’anima. Fece però il gravissimo errore di vendere il suo composto mortale alla moglie del figlio di una sua amica che ovviamente, accecata dal dolore e dalla rabbia finse di aver bisogno dell’aceto speciale e la fece arrestare. La donna fu condannata a morte e uccisa il 30 luglio 1789, impiccata nella Piazza dei Quattro Canti. La sua anima, senza pace, vagherebbe per le strade di Palermo.

 

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