Maria Teresa d’Austria e la superstizione nel suo tempo

di Gianni 1

Nel XVIII secolo in Europa  centrale regnava l’ignoranza e le persone erano terribilmente superstiziose. Erano tantissime le condizioni e i fatti inspiegabili a cui, per ignoranza, non sapevano dare risposta. In questo panorama si distinse l’arciduchessa d’Austria e regina di Ungheria e Boemia.

Divenne un punto fermo di razionalità. Fu nel gennaio del 1755 che Maria Teresa venne a conoscenza di un fatto: un vampiro nella Moravia scatenava il panico e con l’approvazione del cleso il popolo era riuscito a far riesumare  alcuni corpi per farli decapitare e bruciare.

Era proprio l’ingoranza di quest’ultimo a far dilagare la superstizione e la paura. L’arciduchessa, per capire e spiegare quei fenomeni, si affidò alla cooperazione e consulenza del suo medico, l’enimente scienziato Gerard van Swieten.

L’uomo per ogni indagine scriveva un dettagliato rapporto per la regina. Ne primo affermò che la mancata decomposizione dei cadaveri non era dovuta a qualche stranezza, bensì al ftto che le bare erano state sigillate ermeticamente  ed erano state poste in una terra molto asciutta.

Un altro caso emblematico fu quello di Rosina Polackin che i medici del luogo ove abitava definivano vampiro. In realtà la donna era stata sepolta e il suo corpo giaceva congelato a causa della stagione e così lo avevano riesumato completamente integro. Il medico di corte ne fece rapporto citando l’ignoranza dei colleghi.

In pratica le leggende nascevano a causa della scarsa conoscenza anche delle più basilari tecniche di conservazione e alimentavano le paure. Nel 1755 l’arciduchessa, dopo aver letto l’ennesimo rapporto, decise di proclamare un editto  che vietava le procedure tradizionali, e la riesumazione di corpi di persone credute vampiri o altre creature leggendarie. I decreto di Maria Teresa non scofisse la superstizione, la paura o la caccia ai vampiri, ma limitò il verificarsi di simili situazioni. Qualcuno però non ha smesso di profanare tombe e di prendersela con il copro di qualcuno ritenuto vampito. Un caso simile è avvenuto in Ungheria nel 1912.

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