Divinazione nell’antica Roma

di Gianni Commenta

a divinazione ai tempi dell’antica Roma assolveva a funzioni ben distinte e la più importante era la l’arte augurale che a quei tempi era ritenuta una vera e propria scienza.

Consisteva nell’osservare gli eventi naturali dal tuono all’eclissi, il volo degli uccelli e il loro comportamento e altri fattori per poi, attraverso questi auguri, ottenre l’approvazione divina in relazione alle azioni che dovevano intraprendere capi di stato, politici e militari.

Arrivavano al punto che se gli auguri risultavano negativi, sia le battaglie che le elezioni, le consacrazioni o dichiarazioni di guerra, venivano sospese e aspettavano diventassero propizie prima di intraprenderle.

I sacerdoti avevano il potere di influenzare pesantemente le azioni degli uomini, dei cittadini e della politica, non chè il destino di intere comunità. Gli auguri degli antichi romani basavano molte delle loro pratiche sulla più antica civiltà e credenze etrusche.

Queste erano state trasmesse oralmente da una generazione all’altra e con il tempo vennero ufficializzate nella Roma antica. Vi fu l’istituzione di un “collegio sacerdotale”  che insieme al pontefice massimo amministrava le cerimonie pubbliche. Inoltre custodivano i libri sibillini dove erano raccolte le antiche profezie.

La lettura di queste veniva registrata e gli esiti tenuti archiviati in posti segreti. Gli auspici, o auguri, venivano ottenuti andando con un magistrato in un luogo all’aperto. L’indovino, se così possiamo chiamarlo, vi arrivava bendato, il magistrato riferiva cosa vedeva e in base a questo venivano formulati gli auguri dall’indovino bendato.

I fulmini, in questo genere di divinazione, rappresentavano Giove, padre di tutti gli dei, e venivano interpretati a seconda di come solcavano il cielo. Se venivano da est erano favorevoli, se da ovest minacciosi.

I più sinistri erano quelli che arrivavano da nord, ma i più temuti quelli di nord ovest, forieri di notizie veramente funeste. Si narrava che un fulmine avesse colpito la statua di Cesare Augusto e avesse bruciato la lettera “C” iniziale.

Come numero romano queta rappresentava il cento e i suoi augri affermarono che sarebbe vissuto soltanto altri cento giorni. Fu esattamente così.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato.

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>