I viaggi extracorporei

Delle 326 persone che ebbero esperienze extracorporee la maggior parte descrissero pochi particolari, la cosa più curiosa è che una ottantina di persona affermarono di essersi sentiti fuori dal corpo, una coscienza senza corpo, non un altro corpo.

Si estese l’idea che molte persone potessero uscire dal corpo anche solo in modo meno intensi e forti di Monroe. Su questo studiava Celia Green raccogliendo i dati. Ad esempio riportarono l’esperienza di un giovane motociclista.

Questo ragazzo, che correva sulla strada insieme ad un amico, a causa del rumore e delle vibrazioni si sentì spinto fuori dal corpo e finì per trovarsi su una collina a guardare se stesso sulla moto e, momentaneamente spaventato si era detto, in tono quasi di comando, che non doveva essere lì.

Robert Monroe e le esperienze extracorporee – II

Chi sostiene questa teoria del cordone che collega il corpo fisico a quello spirituale lo considera una specie di cordone ombelicale e fino a quando resta intatto il viaggiatore può tornare nel suo corpo fisico.

Il viaggiatore extracorporeo è nei guai se per qualche motivo il cordone si spezza perchè questo interrompe il contatto. Il corpo spirituale non può più fare ritorno nel corpo fisico e questo, privo dello spirito che gli dà vita, muore.

Muldoon raccontava che questo filo aveva la dimensione di qualche centimetro se il viaggiatore era vicino al corpo, si assottigliava moltissimo se si allontanava di parecchio. Calloway non lo vide mai, ma asserì di sentirlo.

Robert Monroe e le esperienze extracorporee – I

Vi ho già parlato di quest’uomo che usciva dal suo corpo per andare in una dimensione sconosciuta e parallela dove ebbe anche rapporti con la moglie del suo alter ego. I suoi viaggi psichici erano tema di dibattito e lui stesso pensò di avere allucinazioni e di stare per diventare matto.

Si dice però che un matto non pensi di sè di esserlo e che chi lo pensa in realtà non lo sia. Ad ogni modo Monroe, uomo d’affari di mezza età, si rivolse anche a medici per farsi spiegare gli strani fenomeni che accadevano.

Capito che non stava nè per impazzire, nè per morire, decise di annotare tutto ciò che riguardava i suoi viaggi astrali, o se vogliamo chiamarle le sue “uscite dal corpo materiale” , che poi furono pubblicate nel libro “Viaggi fuori dal corpo“.

Callaway e i viaggi extracorporei – parte III

I viaggi che, secondo Callaway, avvenivano attraverso l’uscita del corpo attraverso il corpo astrale, che in pratica era lui in quanto spirito. L’uomo affermò di aver appreso grazie ai suoi esperimenti in merito, e alle ricerche, un metodo per elevarsi a livelli superiori di esistenza, ma allo stesso tempo si diceva spaventato da un viaggio che sembrava portarlo ai limiti dello spazio.

Callaway spiegò anche di aver trovato un metodo per lasciare il corpo attraverso quella che chiamava “porta pineale“, quindi attraverso l’utilizzo della ghiandola pineale che si trova all’interno del cervello e che alcuni ritengono la dimora dell’anima.

Questa è stata da molti ritenuta il compnente essenziale per le esperienze extracorporee. Con i suoi viaggi Hugh Callaway andò molto lontano, fino ad una città orientale che poi descrisse in modo estremamente chiaro e nitido, ma anche in un tempio tibetano dove si ritrovò in una stanza buia legato e torturato da uomini incappucciati che gli imponevano di rinunciare alla sua vera identità.

Callaway e i viaggi extracorporei – parte I

Nella maggior parte dei casi i viaggi extracorporei dell’anima non era molto assidui, anzi si potevano ritenere il contrario: spordici e casuali. Il primo che disse di essere in grado uscire dal proprio corpo come spirito assiduamente e ogniqualvolta lo desiderasse era Hugh G. Callaway che inizialmente ne parlò utilizzando lo pseudonimo di Oliver Fox.

Callaway era nato nel 1885. Da piccolo era stato un bambino malaticcio e ipersensibile che trascorreva il suo tempo tra una malattia e l’altra e gli incubi ricorrenti che popolavano le sue notti. Era molto giovane quando apparvero i suoi poteri paranormali.

Sviluppò un metodo mentale per riuscire a non avere incubi e trovò una sorta di relativa tranquillità fino a quando all’età di tredici anni perse la madre e poco dopo anche il padre. Callaway aveva sempre temuto la morte e a quei lutti si chiuse in se stesso.